10 settembre 2024

Storie di successo: dal Master a Public Affairs Director con Simone Ros

Scopri la storia professionale di un ex studente della nostra scuola. Ecco come il master ha influito sul suo iter professionale.

Simone Ros, nato nel 1990 a Conegliano, in provincia di Treviso e cresciuto a Cordignano, ha alle spalle studi a Bologna e a Vienna. In questa intervista ci racconta il suo percorso come esperto di relazioni istituzionali e comunicazione corporate, dopo la formazione in 24ORE Business School, di cui è inoltre docente.

Simone, di cosa ti occupi oggi e qual è il tuo percorso professionale?

Nel mio ruolo attuale mi occupo principalmente di relazioni istituzionali e comunicazione corporate; nel mio percorso ho avuto la fortuna di poter sempre mixare queste due componenti, sia lavorando in una grande agenzia con clienti molto diversi tra loro (da gruppi esteri ad ambasciate), sia per due aziende, prima di Coca-Cola, una multinazionale e una startup di settori emergenti.

Raccontaci come il Master conseguito alla 24ORE Business School ha contribuito alla tua formazione?

È stato un passaggio fondamentale. Avevo da poco concluso il mio percorso universitario all’Accademia Diplomatica di Vienna e mi ero appena trasferito a Roma per lavorarci, anche se non mi era ben chiaro come e in che contesto avrei potuto farlo. Il Master mi ha aperto le porte di un mondo che non conoscevo e fatto capire in che direzione volevo muovere i primi passi. È un piacere poter continuare a portare la mia testimonianza come docente al Master Corporate Communication, Lobbying & Public Affairs e incontrare persone che hanno il mio stesso desiderio di allora.

Qual è stata la forza del Master?

Le aree tematiche incluse nel programma, la densità delle testimonianze e la molteplicità di interventi da parte di esperti di ambiti molto diversi tra loro. Mi ha spinto ad abituarmi a lavorare contemporaneamente su più fronti, ad approfondire senza per forza settorializzarsi se non c’è la possibilità di farlo, a cercare di capire sempre il contesto e le dinamiche che lo governano. Tutti stimoli che sono stati utilissimi per il grande salto dalla formazione al mondo del lavoro.

Perché e a chi consiglieresti questo percorso?

Lo consiglierei perché ha il rigore e la dinamicità di una Business School che è diventata a tutti gli effetti un marchio. Per le persone (impossibile non citare Adriana Anceschi, ma anche alcuni dei miei compagni di corso di allora che sono tuttora amici) e per il forte legame con il mondo esterno nel quale le persone che frequentano i corsi si trovano a lavorare dopo questa esperienza di studio e crescita.

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Cos’è per te il successo? Di quali ingredienti si compone dal tuo punto vista?

Ci vuole indubbiamente fortuna, intesa come possibilità di cogliere determinate opportunità. Credo che il successo non derivi primariamente dal ruolo che si occupa o dal contesto lavorativo nel quale si è inseriti, ma soprattutto dalla capacità di dare un contributo determinante e riconosciuto, in virtù di una solidità che si acquisisce solo nel tempo e di una fiducia che si può costruire con i fatti e non solo a parole. Essere innanzitutto orgogliosi di ciò che si raggiunge come contributo singolo ad uno sforzo collettivo, non solo da una prospettiva puramente individuale.

Ritieni di aver raggiunto il successo?

Credo che ritenere di averlo raggiunto vada proprio a pregiudicare quell’urgenza fondamentale di essere sempre solidi e fidati per le persone con cui interagiamo, che devono sapere di poter contare su di noi. Riallacciandomi a quanto dicevo prima, ci si sente di successo se si ha la consapevolezza di aver dato davvero un contributo e se si ambisce sempre a fare le cose in modo diverso se necessario, mettendosi sempre in discussione.

Ci sono degli errori grazie ai quali sei diventato il professionista di oggi?

Indubbiamente. In passato mi focalizzavo molto sui passi successivi del mio percorso perché mi auguravo di crescere rispetto al ruolo che occupavo in quel momento, senza approfittare appieno degli stimoli che invece raccoglievo già. Questi primi anni di lavoro mi hanno insegnato ad essere sempre aperto ad abbracciare la complessità e i tempi lunghi, perché è il fattore decisivo per diventare davvero un professionista migliore e avere un impatto sul luogo di lavoro.

Nel tuo percorso professionale e umano c’è o c’è stata una persona o un personaggio fonte d’ispirazione? Insomma, chi è il tuo modello di successo?

Tutti i capi che ho avuto lo sono stati, in un modo o nell’altro. C’è chi mi ha insegnato il modo di guardare alla nostra professione, trasmettendomi anche una certa fascinazione per ciò che facciamo, chi invece mi ha ammonito sul rischio di essere autoreferenziali suggerendomi di mantenere sempre un legame di ferro con le altre funzioni aziendali. Sento di aver sempre imparato qualcosa e credo che questo mi porti oggi a pensare che il vero modello sia quello che riesce ad armonizzare queste componenti: sia la certezza nel potenziale della nostra professione e del nostro ruolo in azienda, sia un sano scetticismo che spinge sempre al confronto con chi ha ruoli e priorità differenti.

Condividi con noi il tuo sogno lavorativo?

Il mio sogno è quello di continuare a chiudere le mie giornate lavorative con la consapevolezza di aver dato il massimo. Una delle citazioni che preferisco è questa frase di Francesco de Sanctis: “Il realismo è il grande educatore dell’ideale”. Vuol dire dal mio punto di vista che si può continuare a sognare lavorativamente se ci si impone di misurare sempre la portata delle proprie ambizioni alla luce di ciò che concretamente si riesce a raggiungere ogni giorno. Fare insomma in modo che questi risultati siano all’altezza di dove si vuole arrivare.


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Autore: Maria Teresa Melodia, Head of Digital Content e giornalista professionista



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