21 maggio 2024

Cultura aziendale: dal racconto all’azione grazie alla formazione continua

Stefano Chiarrazzo, moderatore dell' Open Day Master Executive, Part Time e EMBA di 24ORE Business School in programma lo scorso 9 maggio, analizza i cambiamenti della cultura in azienda.

La cultura aziendale è un asset fondamentale e in continuo cambiamento che identifica un’organizzazione e la distingue dalle altre. Corporate culture significa fare in modo che le persone siano rappresentative del modo in cui l’azienda opera e comunica se stessa e il lavoro di ciascuna delle persone che la animano e la rendono viva e vivace.

“L’intento principe di un’azienda, in particolare della funzione di comunicazione interna, è mettere a disposizione delle persone le informazioni e la motivazione che serve per stare bene al lavoro, perché stare bene al lavoro significa anche sentirsi accolti e stimolati nel portare dentro qualcosa di sé”.

Queste sono le parole di Luciana De Laurentiis, Head of Corporate Culture & Inclusion di Fastweb, autrice per FrancoAngeli del libro “Smart Working: La seconda stagione”, docente di diversi Master dell’area HR e ospite dell’ultimo open day di 24ORE Business School dedicato ai Master per professionisti.

Gli open day sono infatti appuntamenti periodici preceduti da interviste di grande ispirazione a top manager di primo livello e sono finalizzati a scoprire i percorsi più adatti al reskilling e all’upskilling di competenze che si modificano nel tempo e richiedono un continuo e costante aggiornamento. Dalla chiacchierata sono emersi diversi spunti di riflessione che ci fa piacere proporre in questo articolo.

Purpose aziendale: dalla cultura narrata alla cultura agita

Vision (dove l’azienda sta andando), mission (cosa fare per arrivare a quella meta) e valori (come lo si intende fare) sono da sempre i principali pilastri che definiscono la cultura di un’azienda.

Non sono solo delle nomenclature scritte sui nostri muri, nei nostri claim e sui nostri social media ma comportamenti riconosciuti e agiti dalle persone nella loro quotidianità in modo da alimentare il senso di appartenenza e anche il sense making del proprio lavoro,

commenta De Laurentiis. C’è una cultura scritta e una non scritta, insomma, che è proprio quella agita che diventa ancora più visibile e credibile.

Negli ultimi anni il purpose ha aggiunto alla corporate culture un grande WHY: quello scopo per cui una azienda esiste e vuole sopravvivere a sé stessa

È lo scopo ultimo dell’azienda e di chi ci lavora, che va oltre quello interno aggiungendone uno esterno legato ad un positivo impatto economico, sociale e ambientale.

Il purpose è un modo per far sì che ad una cultura narrata corrisponda una cultura agita dalle persone che si identificano in essa e siano felici e soddisfatte nel rendere davvero possibile che ciò accada anche attraverso il proprio lavoro.

Diversity, parity, inclusion e non solo: le iniziative interne che arricchiscono la cultura aziendale

Se da un lato l’azienda è e deve essere percepita come una, con un unico purpose condiviso e precisi valori identitari, dall’altro presenta una popolazione molto sfaccettata in termini di genere, generazione, nazionalità, abilità e orientamento politico, sessuale, religioso. Garantire che l’organizzazione agisca come one team, comunichi come one voice e al contempo valorizzi l’unicità di ogni singolo individuo non è semplice.

Tra gli ambiti professionali e di insegnamento di Luciana De Laurentiis c’è proprio l’organizzazione di campagne di D&I, per comunicare la D&I oggi e fare in modo che non sia solo una buzzword. Se la comunicazione interna e l’employee engagement sono discipline ampiamente praticate in azienda, lo è meno il corporate volunteering.

Dedicare parte del proprio calendario lavorativo ad azioni di volontariato, magari scegliendo personalmente e mettendosi direttamente in contatto con realtà sul territorio che si occupano di solidarietà, è già la migliore occasione di conoscere una diversità e una ampiezza delle differenze che ti rendono consapevole della coesistenza e convivenza fra le differenze, imparando così a riconoscerle e valorizzarle anche sul lavoro.

Learning spoiler: la reputazione aziendale che passa dalle persone

Partendo dal presupposto che non esistono organizzazioni perfette, è difficile offrire una linea guida che vada bene per tutti in termini di costruzione della cultura aziendale, D&I inclusa. La complessità, infatti, si vive già in fase di recruiting.

Come cercare una persona che sia adatta ad una specifica azienda? Non credo esista un solo modello di persona. Vanno trovate persone che si trovano nel ruolo giusto, nel momento giusto e con il giusto desiderio di far parte di quella organizzazione, di quel tipo di lavoro e di quel tipo di racconto.

Un passaggio determinante, che nel bene e nel male contribuisce non solo alla capacità dell’azienda di operare al meglio ma anche di raccontarsi all’esterno costruendo la propria reputazione anche grazie al saper fare dei suoi protagonisti attivi.

Non tutte le persone sono consapevoli del loro impatto sulla reputazione dell’impresa. Il media più credibile di una azienda è la persona che ci lavora. Nello stesso modo in cui guardiamo le recensioni di un hotel e ci fidiamo delle persone che ci sono state piuttosto che quello che l’hotel dice di sé stesso, così ci affidiamo al racconto dei dipendenti che in quella azienda già lavorano o ci hanno lavorato.

Lavorare sulla governance, sulla formazione e sul coordinamento è essenziale per rendere le persone consapevoli anche di questo loro ruolo e per avviare in maniera proattiva piani di employee advocacy.

Evoluzione della cultura aziendale: la curiosità è la soft skill imprescindibile nel 2024

Non solo diversità, ci sono soft skill che non hanno colore. Secondo Luciana De Laurentiis la più importante oggi è quella che il World Economic Forum nel suo Future of Jobs Report 2023 ha classificato al quinto posto, ovvero curiosity and lifelong learning.

La curiosità è una spinta necessaria per lo sviluppo personale, a prescindere dalla generazione e dal contesto di appartenenza, e interno delle aziende, indipendentemente dal settore e dalla dimensione. Per garantirsi il futuro, è il presente che deve prevedere un aggiornamento continuo.

La curiosità sarebbe dunque l’alert più efficace per capire quando è il momento di formarsi, rendendo così la formazione continua un processo naturale. L’esigenza di aggiornarsi e formarsi può nascere dai leader, i primi ma non gli unici a dovere sviluppare una capacità adattiva, dai loro team o dal team di corporate culture, che può suggerire l’importanza della formazione su un determinato tema per un team specifico.

L’abbiamo fatto di recente proponendo un maggior focus sull’universal design, o design for all, che mira a rendere i servizi e i prodotti fruibili per più persone possibili e pertanto più inclusivi al fine di essere future proof.

Intercettare e abbracciare per tempo i cambiamenti più importanti che stanno avvenendo e che sono lungi dall’essere una semplice moda del momento è possibile solo se tutti i membri dell’organizzazione sono costantemente in ascolto, sia verso l’interno che verso l’esterno.

L’esempio di cui tutti parlano è l’intelligenza artificiale che non sostituirà il lavoro umano ma che va conosciuta e integrata prima possibile: per molte professionalità, non adattarsi per tempo esporrebbe infatti al rischio di essere fuori dal mercato del lavoro o, comunque, di essere meno efficaci ed efficienti.

Tutti devono esercitare una flessibilità del comportamento e dell’apprendimento che vadano incontro ai cambiamenti e alle diversità delle persone che ci circondano, per funzionare meglio sul mercato e all’interno di un’organizzazione dove ci sentiamo noi per primi accolti.


Autore: Stefano Chiarazzo, Digital Reputation Senior Advisor - Pubblico Delirio


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